Mob… basta!

Se il pensiero dominante è il vostro Kapo e bello non è; se ammorbate la famiglia con le vostre questioni lavorative; se l’idea di andare al lavoro vi dà il voltastomaco; se vi svegliate nel cuore della notte affetti da palpitazioni; se ingrassate o dimagrite a seconda di quel che vi è più scomodo; se il sesso non vi attira e vi viene l’orticaria, l’herpes, la gastrite, l’ipertensione, il mal di fegato e vi peggiora l’artrite, è probabile che abbiate bisogno di una vacanza.

Se avete lamentato alienazione per cattiva organizzazione del lavoro, alzando vivaddio la voce quando la misura era colma, è probabile che cominci a girar voce della vostra in gestibilità e che in breve vi ritroviate isolati con qualche stigma a corredo. In tal caso, bevetevi un bicchiere d’acqua. Se però anche il sindacalista di fiducia vi dovesse battere una pacca sulla spalla dicendo: Oh, baby-baby, it’s a wild world, prima di andare dallo psicanalista, passate dall’avvocato. Forse siete affetti da mobbing. Diffamazione e connivenza sono le regole del gioco.

Il termine mobbing fu coniato agli inizi degli anna Settanta dall’etologo Konrad Lorenz (sì, è una roba bestiale…) per descrivere il comportamento di alcune specie animali che circondano un proprio simile e lo assalgono in gruppo allo scopo di allontanarlo dal branco. L’etimologia risale al latino mobile vulgus che significa movimento della gentaglia. In ornitologia si ricollega al comportamento di gruppi di uccelli di piccola taglia che assieme assillano un rapace che per loro rappresenta una minaccia. Nella storiografia inglese, mob indica un conflitto sociale senza capi.

Si calcola che in Italia il mobbing investa un milione  e mezzo di lavoratori, più che altro nel settore pubblico e in quello dei servizi. Sintomo di un sistema malato, il mobbing è stato classificato tra le umane malattie dall’OMS, organizzazione mondiale della sanità. Per l’OIL, organizzazione internazionale del lavoro, però, non fa male solo a chi lo subisce. Il danno prodotto dal mobbing, infatti, costa alla collettività circa il 190 per cento della retribuzione annua lorda di ciascun mobbizzato. Nel conteggio, rientra anche il costo del tempo impiegato dal gobbe per studiare nuove forme di vessazione senza farsi beccare.

Dall’emarginazione alla persecuzione, dall’assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell’immagine sociale del lavoratore, eliminare una persona che è – o è divenuta – in qualche modo scomoda senza che si crei un caso sindacale, significa per il mobber dover colpire essenzialmente di fioretto. Per questo il fenomeno delle vessazioni sul posto di lavoro è ritenuto spesso un’invenzione giornalistica o l’esagerazione di qualche studioso e i sindacati ci vanno cauti.

La prova del mobbing è infatti difficoltosa e nessuno si augurerebbe un danno biologico per poterlo dimostrare inconfutabilmente.

Saprofiti, mimetici, viscidi e servili, i mobbers si riproducono per clonazione; camminano sull’acqua; si muovono in stormo; hanno spesso fattezze eleganti e parole suadenti; rimbalzano se colpiti e nelle mute si rafforzano. Il loro essere forti con i deboli e deboli con i forti li rende rispettabili in molti posti di lavoro e simpatici in molti luoghi di potere, almeno quanto odiosi tra i subordinati poco disponibili a regger loro lo strascico. Poco consola che il mobber possa essere un mobbizzato di ritorno. Mostro che si alimenta delle stesse energie di chi dovrebbe invece combatterlo, il mobbing è la strategia più diffusa tra gli yes-men per la copertura di situazioni immorali o di abusivi interessi personali, economici o di esercizio del potere.

Perciò, donne e uomini mobbizzati, meditate. Ma non abbandonatevi all’ignavia pensando che non ci sia scampo. Organizzatevi per resistere, trasformate il vostro posto di lavoro in un osservatorio; prendete appunti di quel che vi capita e scambiateveli. Nel frattempo, contro l’amarezza, curate con la fantasia il vostro mobbing quotidiano. Anche se non potrà distruggerlo, una risata lo sommergerà.

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